Intervento del Segretario Generale Marco Paolo Nigi

In tutte le scuole, su tutto il territorio nazionale, la mobilitazione del personale della scuola è stata, e lo è ancora e continuerà, forte, decisa e partecipata contro le iniquità e le ingiustizie di questa manovra finanziaria.
Oggi, lo SNALS-CONFSAL è qui - in questa manifestazione indetta insieme alla CISL SCUOLA, alla UIL SCUOLA e alla GILDA UNAMS - per senso di responsabilità nei confronti della scuola italiana, dei docenti, del personale ausiliario, tecnico e amministrativo ed anche nei confronti dell’intero Paese.
Siamo qui perché siamo convinti che il confronto democratico debba portare a introdurre nella manovra finanziaria - urgente, necessaria e comune nelle finalità a tutti i paesi europei – quegli elementi di equità e di giustizia sociale che debbono essere alla base dei pesanti sacrifici richiesti ai lavoratori.
Solamente una manovra equa, infatti, è in grado di attivare il principio della solidarietà, il senso di appartenenza ad una comunità nazionale ed è capace di far condividere lo sforzo al quale sono chiamati tutti i cittadini e tutte le istituzioni.
Siamo qui, e non nelle piazze, perché crediamo nel confronto politico e nel dialogo sociale, che libero da ideologie, deve essere teso a trovare mediazioni e soluzioni nell’interesse generale.
Finora, la gestione di questa fase di grave emergenza economico-finanziaria ha visto il Governo impegnato in un frettoloso lavoro di recupero di risorse certe da mettere in cassa: ha abbattuto i costi delle spesa pubblica nel modo più semplice, più lineare e, dunque, più ingiusto.
Per la scuola poi siamo di fronte ad una doppia ingiustizia, anzi a molte e pesanti penalizzazioni.
Non solo è previsto, come per tutto il pubblico impiego, il blocco del rinnovo dei contratti, con il quale si impedisce ogni adeguamento delle retribuzioni al costo della vita, che resteranno ferme per almeno tre anni, sia quelle fondamentali che le accessorie.
Alla scuola è riservata un’altra pesante penalizzazione: quella del blocco della progressione economica oltre a quella dello spostamento di ogni confronto sindacale alla fine del 2012 per la contrattazione del compenso individuale accessorio, per il personale ATA, e della retribuzione professionale docenti.
Queste sono peraltro le uniche e sole leve che a tutt’oggi lo Stato è in grado di mettere in campo per riconoscere il valore socialmente rilevante degli insegnanti.
Un lavoro però sempre più svalutato da una società che riserva poche attenzioni alla scuola, ma che molto le chiede di fronte alle emergenze educative.
Si toglie, dunque, ogni riconoscimento economico all’esperienza e alla professionalità che serve anche a sostenere la motivazione e il lavoro sempre più duro e in condizioni sempre più difficili di chi a scuola accoglie tutti i giorni quasi 8 milioni di bambini e studenti.
Ai lavoratori della scuola, al personale ATA e ai docenti italiani si blocca la progressione economica. Si cancellano tre anni di lavoro: non hanno valore ai fini giuridici, vengono messi tra “parentesi”, valgono solo come un trascorrere del tempo in costanza di servizio, ma niente di più.
Al personale ATA e al personale docente che alla fine riuscirà a raggiungere i 35 anni di servizio, requisito minimo per ottenere il diritto alla pensione, lo Stato gliene conteggerà solo 32 per la progressione economica di carriera, impedendo quindi il raggiungimento dell’ultima posizione stipendiale.
E questo costerà ai lavoratori un danno che subiranno per sempre, con effetti dunque sulla pensione e sulla liquidazione.
Uguali danni li subiranno i docenti che verranno immessi in ruolo, che di fronte ai mancati concorsi che l’amministrazione da decenni non bandisce, hanno alle spalle anni di servizio e che non vedranno riconosciuti gli avanzamenti fino ad oggi previsti.
In parole povere: di fronte a una manovra che manca di vere riforme e di vera innovazione, il risparmio sul personale della scuola è l’unico intervento strutturale e non una tantum.
E’ l’unica misura che darà risparmi certi nell’immediato e permanenti nel tempo. Permanenti proprio come i danni che subirà chi sta nella scuola.
Ancora una volta, la politica si sottrae al confronto su nuove politiche per il personale.
Anzi sono dirottate su altri bisogni finanziari del servizio di istruzione le risorse dell’articolo 64 della manovra del 2008, che invece dovevano integrare quelle contrattuali per la valorizzazione professionale, unica misura compensativa che destinava il 30% dei risparmi per l’unico obiettivi di qualità che era stato individuato.
Si inchiodano, dunque, i lavoratori della scuola sull’esistente e senza prospettive di miglioramento.
Ancora una volta, la politica riduce in modo orizzontale i costi della scuola, istituzione fondamentale per la nazione e servizio essenziale per i cittadini, compromettendo il futuro delle giovani generazioni.
Eppure, proprio la scuola da anni sta contribuendo in modo molto significativo al risanamento dei conti pubblici. Lo fa da molte leggi finanziarie e da ultimo, con gli 8 miliardi di tagli imposti con la manovra del 2008.
Anche in quell’occasione non è stata attivata una vera lotta agli sprechi da tagliare, né le economie “intelligenti” da realizzare.
Ancora una volta, la politica ha scelto la strada semplice del taglio agli organici, in tutti i gradi e ordini di istruzione, addirittura tagliando il tempo scuola e materie, anche quelle professionalizzanti, nelle classi seconde, terze e quarte, come è previsto dai nuovi regolamenti a partire dal prossimo settembre negli istituti tecnici e professionali
Si parla tanto di qualità dell’istruzione, ma le decisioni politiche sembrano andare in tutt’altra direzione: si peggiora la vita nelle classi, sempre più numerose, si costringe ad una mobilità coatta anche degli insegnanti di ruolo, costretti a lasciare le loro classi e i loro studenti, non per loro scelta, come confermano oggettivamente i dati statistici.
Con questi tagli si cancella anche la possibilità per migliaia di precari storici di arrivare alla stabilità e alla sicurezza di un’occupazione.
A ciò si aggiunge l’assurdo che si continua a non assumere in ruolo neanche su quei posti dell’organico che pure sono liberi e che rimangono senza titolare. Penalizzando la continuità didattica, il rapporto educativo, l’autonomia e la qualità della scuola.
La stessa logica ragionieristica è prevalsa quest’anno, con il provvedimento finanziario del 2010, con in più un supplemento di ingiustizia
E’ la logica che ha fatto approvare una manovra tutta fondata sulla certezza delle minori spese per il pubblico impiego e per la scuola in particolare.
Nella manovra, sono certi solo i 6 miliardi e mezzo dei risparmi sugli stipendi pubblici, oltre a quelli dei mancati trasferimenti alle Regioni e agli Enti locali, ai quali però non è stato indicato nessun principio generale per eliminare gli sprechi senza togliere i servizi ai cittadini.
Il resto sono solamente cifre senza certezze di entrate e di risparmi, ad esclusione delle economie che verranno dal 10% in meno di spese richieste alle amministrazioni centrali e agli enti pubblici.
E’ una pura speranza di incasso quella che è fittiziamente quantificata quale risultato delle azioni contro l’evasione fiscale, il lavoro sommerso e di varie e surrettizie forme di condono. Sono anni che lo SNALS e la CONFSAL chiedono forme incisive contro l’elusione e l’evasione fiscale e contributiva, il lavoro sommerso - anche di quello che coinvolge migliaia di minori - e azioni contro l’illegalità diffusa, la grande e la micro criminalità.
Queste dovrebbero essere misure “naturali” in uno stato di diritto che si fonda su un patto etico, oltre che sociale e giuridico, tra cittadini e istituzioni.
Proprio per questo, le azioni di contrasto - seppure doverose - non possono essere strumentalmente usate per oscurare la vera natura del provvedimento finanziario.
Non possono far passare colpi durissimi a chi guadagna poco, ma al quale si chiede il contributo più alto di sacrifici.
Insomma: si toglie di più a chi guadagna di meno. Questo è inaccettabile.
Anche come Confederazione, come CONFSAL, siamo impegnati a rendere più equa questa manovra, chiedendo una maggiore tassazione sulle “grandi” rendite, tagli ai tanti inutili costi della politica e a quegli sprechi della pubblica amministrazione, come le esternalizzazioni irrazionali, per dare finalmente all’economia italiana, fuori da provvedimenti-tampone, prospettive di legalità e di sviluppo.
Come CONFSALriteniamo del tutto insufficienti gli investimenti in ricerca, tecnologie avanzate e infrastrutture. Senza questi la manovra non solo non guarda al futuro, ma non è nemmeno europea, perché in Europa non si evade come in Italia e si investe di più nei settori strategici, come è quello della scuola.
Per questo, la CONFSALsostiene la protesta e le richieste dei lavoratori della scuola e si batterà per le necessarie correzioni.
Con questa manovra, infatti, non solo non si pone rimedio, ma anzi si aggrava l’anomalia italiana che vede - tra i Paesi dell’eurozona – il personale della scuola, in particolare i docenti italiani, ai più bassi livelli retributivi, con lo sviluppo di carriera più lungo e con rinnovi contrattuali che sono serviti appena a recuperare il vecchio indice inflattivo, stabilito peraltro unilateralmente dai vari Governi di turno.
Poche economie verranno, invece, dai vertici degli apparati dello Stato e degli Enti pubblici che sono toccati marginalmente da questa manovra. Per loro è prevista l’introduzione di franchigie, che sono però negate alla maggior parte dei lavoratori di questo Paese, siano essi del pubblico come del privato impiego.
A un collaboratore scolastico sono tolti in media 1.000 euro all’anno.
Agli insegnanti, che hanno una retribuzione media annuale di 25.000 euro, viene tolta in media una mensilità all’anno, ma per alcuni ancora di più.
E’ come se si prelevasse dalle loro tasche la tredicesima, una parte di salario dovuto per una prestazione lavorativa
Non è poi così diverso dal mettere le mani in tasca per togliere soldi con altre o maggiori tasse.
Eppure, niente è chiesto a chi guadagna 90.000 euro all’anno.
Un sacrificio minimo al 5% scatta per chi guadagna tra 90 e 150.000 euro, mentre solamente per l'importo eccedente i 150.000 euro è applicato il taglio del 10%.
Per essere chiari: chi guadagna 100.000 euro ne paga 500, la metà di un collaboratore scolastico; chi guadagna 160.000 paga 4.000 euro, non molto di più di un professore delle scuole superiori.
Sono queste delle sperequazioni incomprensibili e intollerabili per chi ha basse retribuzioni come il personale della scuola e per chi ha scarsi sostegni, come la gran parte dei pensionati, dei cassaintegrati e dei precari o per chi, peggio ancora, è disoccupato.
Dopo la propaganda mediatica, non sono invece arrivate le misure per la riduzione dei costi della politica, che non sono solamente gli stipendi dei parlamentari e dei politici, ma sono quegli sprechi che da decenni ormai tutti conosciamo, ma che l’inerzia e l’abitudine ai privilegi diffusi fanno sembrare inamovibili.
Stavolta, vogliamo vedere concretamente la lotta agli sprechi.
In modo chiaro, devono essere identificati, quantificati e addebitati a chi si ostina a danneggiare la collettività.
Come ad esempio le auto blu, che sono state ripetutamente contate negli ultimi decenni, ma mai ridotte.
A ogni cambio di Governo – sia centrale che territoriale - esce fuori la questione delle consulenze e degli incarichi, che aggirano peraltro l’articolo 97 della Costituzione, quello che prevede che “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”.
L’elenco degli enti da sopprimere e di quelli culturali contiene indifferentemente l’utile e l’inutile e questo ogni volta dà la scusa per non intervenire.
La riduzione del contributo ai partiti è rimandato alla prossima legislatura.
L’abolizione delle province non è prevista neanche nel provvedimento sulle autonomie.
Non si può chiedere a un dirigente scolastico di rispondere in proprio se richiede un insegnante in più, magari per fronteggiare delle vere emergenze educative e in contesti difficili, e poi far rimanere impunito chi continua a rimandare l’eliminazione di benefit, che sono riservati a pochi e contrari al bene comune.
Bisogna invertire la logica di questa manovra, perché è tutta concentrata a colpire quel 25% delle risorse pubbliche destinate agli stipendi, che non servono solo a sostenere la vita delle persone, ma anche i consumi e dunque la produzione e la ripresa economica.
Non si colpisce “chirurgicamente” il restante 75% che è assorbito anche dalle inefficienze, dall’eccesso di burocrazia, dalla duplicazione di uffici e funzioni, dalle opere incompiute o abbandonate e, purtroppo, da tanto altro ancora.
Questi sprechi stanno generando, nel tessuto sociale del Paese, fratture insanabili e pericolose.
La solidarietà è un principio che ci richiama tutti a un rinnovato senso di responsabilità di fronte alla situazione attuale del Paese, e ancora di più rispetto alla preoccupante condizione delle giovani generazioni.
Per questo lo SNALS-CONFSAL, la CISL SCUOLA, la UIL SCUOLA e la GILDA UNAMS sono qui oggi a dar voce e a rappresentare la grande maggioranza del personale della scuola, che è fortemente determinato ad opporsi alle ingiustizie contenute in questa manovra e che chiede con forza la cancellazione delle iniquità.
Tutti noi siamo altrettanto convinti che il risanamento dei conti pubblici e la riduzione del debito non devono minare la coesione sociale, necessaria al Paese e ai lavoratori.
L’impegno dello SNALS-CONFSAL è quello di formulare, congiuntamente con le altre forze sindacali qui presenti, emendamenti al testo del provvedimento finanziario, che saranno proposti al Governo e a tutte le forze parlamentari affinché venga eliminata l’ingiustizia imposta alla scuola.
Chiediamo, dunque, che sia aperto al più presto, un ampio confronto per il bene della scuola, affinché durante il percorso di riconversione in legge della manovra, siano riconosciute le disparità di trattamento tra i lavoratori e sia cancellato il blocco degli scatti di anzianità.
Il Governo e il Parlamento non possono ignorare la protesta e le ragioni della scuola.